
Cos’è il drop di una scarpa da running
27 Aprile, 2019Quando recensiamo le scarpe da running spesso ci capita di citare un dato che forse non è chiaro a chiunque: il cosiddetto “drop”. Pur spiegando ogni volta che si tratta della differenza di altezza fra tacco e punta della scarpa la domanda che magari ti stai ponendo è lecita: perché dovrebbe interessarti questo valore? In effetti l’argomento può avere il fascino che ha il dato sulla distribuzione della forza motrice fra avantreno e retrotreno di un’auto: una cosa cioè che trovano interessante 40 persone al mondo, e 23 di queste sono tecnici della Ferrari (si scherza!).
Il potere dei millimetri
I drop delle scarpe da running variano da modello a modello in un intervallo che va generalmente da 0 a 12 mm. Alcune scarpe non hanno alcun differenziale fra tacco e punta (drop 0) e altre ce l’hanno, più o meno pronunciato. Quelle con drop 0 sono considerate “minimal” o “natural” perché non introducono nessuna correzione “non naturale” dell’appoggio del piede. Il piede scalzo appoggia infatti sia la punta che il tallone alla stessa altezza su una superficie piana. Più differenziale/drop c’è, più la scarpa porta il runner ad assumere un’impostazione di corsa “modificata”.
Possono pochi millimetri fare tutta questa differenza? Sì: nel caso specifico è utile leggere questa misura non tanto sulla pianta del piede ma piuttosto sulla lunghezza del polpaccio. Più alto è il tallone (più drop ha la scarpa), più “corto” sarà il polpaccio, poiché verrà spinto verso l’alto, in posizione considerata più rilassata o meno estesa.
Come il drop modifica la corsa
Anche i millimetri, come abbiamo visto, contano. Meno drop ha la scarpa, più il polpaccio è basso e teso e più il runner è portato ad atterrare di avampiede. Puoi fare la prova correndo a piedi scalzi: il tuo cervello non comanderà mai ai tuoi piedi di atterrare sul tallone perché sa benissimo quanto male ciò ti provocherà.
Viceversa se il polpaccio è più alto e rilassato si è portati ad atterrare di tallone. Ecco spiegato perché le scarpe da running hanno molta ammortizzazione nella parte posteriore: per attutire l’impatto di una parte del corpo che non è progettata per appoggiare per prima a terra, specie durante la corsa.
A questo punto potresti pensare che correre naturale (con drop nullo) sia la risposta giusta. Non è detto che sia così: se hai sempre corso con drop cambiare abitudini comporta come minimo una fase transitoria durante la quale il tuo fisico dovrà rieducarsi e cambiare impostazione. Il minimo fastidio a cui puoi andare incontro è l’indolenzimento del polpaccio che dovrà lavorare (leggi: estendersi) molto più di quanto fosse abituato a fare. In casi più gravi si può incorrere invece in strappi e traumi più seri. Come al solito il consiglio è di approcciare un cambiamento così radicale con molta gradualità.
Mac vs Windows
Ricordi la noiosissima sfida di anni fa su quale fosse il miglior sistema operativo? Era quello Apple o quello Microsoft? Nessuno si ricorda come sia finita, probabilmente perché né l’uno né l’altro era meglio in valore assoluto. La risposta giusta, come spesso succede, è: dipende.
Se hai un piede ben allenato e corri naturalmente di avampiede puoi usare scarpe con drop minimo o nullo.
Se sei abituato da sempre a correre con drop più o meno pronunciato e non ti sei mai infortunato potresti chiederti perché mai cambiare. E faresti benissimo, e io sarei il primo a dirti che non ce n’è alcun bisogno.
Se invece hai subito più infortuni riconducibili al drop potresti provare ad abbassarlo e, al limite, ad annullarlo.
Parlandoti per esperienza personale e avendo provato decine e decine di scarpe con drop ti posso anche dire che io, che corro di avampiede e quindi con impostazione “natural” non ho mai avuto problemi a usare scarpe con drop anche pronunciati. Lavorando solo con l’avampiede infatti la parte di scarpa che uso è quella anteriore, che ha un drop sostanzialmente nullo in qualsiasi scarpa da running.
Il drop che unisce tutti
Il dibattito su “drop sì o no” in realtà è nato quando anni fa apparvero le prime scarpe natural o barefoot: parlo di scarpe davvero estreme per pochi eletti, robe con drop inesistenti e soprattutto zero ammortizzazione se non pochi millimetri di gomma sotto la pianta. È chiaro che chi correva con scarpe del genere senza avere un piede da ultramaratoneta finiva in ortopedia dopo pochi chilometri.
Da qualche anno a questa parte invece si è assistito a una convergenza del mercato verso modelli che hanno caratteristiche derivate sia dalla scarpa natural che da quella tradizionale. Oggi ci sono scarpe con drop contenuti o nulli ma con molta ammortizzazione (tipo quelli maximal) e scarpe “tradizionali” con drop più bassi e puntali più ampi.
Come spesso accade, la virtù sta nel mezzo e l’offerta ha trovato il suo punto di equilibrio in modelli che hanno limitato le esagerazioni in un senso o nell’altro diventando valide alternative per molti e diversi tipi di runner. Oggi possiamo finalmente scegliere fra decine e decine di modelli: con drop, senza drop, con poca o tanta ammortizzazione, con pianta larga o stretta e fatti di mille materiali diversi.
fonte https://www.runlovers.it/2019/cose-il-drop-di-una-scarpa-da-running/